giovedì 25 gennaio 2018

Olio Extravergine pugliese finalmente IGP?














Tempio di S. Maria di Giano (Trani)



Il Made in Puglia cresce 
Cresce l'interesse per i Tesori di Puglia,  crocevia del Mediterraneo



Importanti  conquiste si stanno ottenendo per la tutela e la valorizzazione del nostro patrimonio enogastronomico. Basti pensare alla Legge sull’etichettatura dell’origine del latte per formaggi e latticini, la prossima entrata in vigore della normativa sulle confezioni di pasta dell’etichettatura di origine del grano e dulcis in fundo,  la richiesta da parte dell’associazione di tutela e valorizzazione dell’olio d’oliva di Puglia per l’iscrizione all’elenco degli IGP (Indicazione Geografica Protetta). In quest’ ottica La Puglia si fa forte, dopo la burrata di Andria IGP,  anche dell’ avanzamento delle pratiche di  richiesta per la mozzarella di Gioia del Colle  della dicitura e  disciplinari per il riconoscimento del Dop . Per quanto riguarda l’olio Extravergine pugliese IGP verrà garantita un’ alta qualità del prodotto con parametri chimico-fisici ed organolettici eccellenti. Il disciplinare infatti prevede  solo oli ricchi  di polifenoli,  trattasi di  antiossidanti naturali,  necessari perché si possa  parlare di olio di qualità, e si  possa quindi conseguire il marchio IGP. Certificando  la proprietà, dovrà essere imbottigliato entro l’anno di produzione e necessariamente prodotto con olive pugliesi, e quindi queste  trasformate da frantoi  pugliesi in olio,  e confezionate a una distanza definita dal luogo di produzione. Si aspetta il via libera da Bruxelles per celebrare finalmente un’autentica ricchezza del nostro territorio. Un olio integralmente Made in Puglia. Un ulteriore successo riguarda il settore caseario, che vede la mozzarella Di Gioia del Colle aggiudicarsi la proposta a riconoscimento di origine protetta Dop. La produzione di latte per i prodotti caseari riguarderà 16 comuni distribuiti nell’area murgiana barese - tarantina . Il disciplinare di produzione proposto dal Mipaaf (Ente di Controllo che fornisce l’insieme dei servizi e regole necessarie per ottenere lo status di prodotto di qualità tramite esami sul prodotto, certificazioni e attestati) prevederà  la lavorazione del latte entro le 36 ore dalla mungitura, un’ alimentazione dell’ animale che prevede l'utilizzo di almeno il 60% di produzioni locali, tra foraggere e cereali. Inoltre nella trasformazione vi sarà l'obbligo del siero innesto, quindi l'assenza di prodotto chimico per la lavorazione . Pertanto vi sarà un’ulteriore garanzia del benessere  dei  bovini, prevalentemente  di razza Bruna e Frisona, con il pascolo nei campi  con non meno di 150 giorni l'anno.
Perché è diventato così importante tutelare i nostri prodotti e quindi i nostri agricoltori, allevatori, e, in primis la nostra italianità,  nonché il nostro essere pugliesi? Certamente non dobbiamo guardare in un’ottica di chiusura economica territoriale. Vanno garantiti prodotti di qualità, con la crescita di consapevolezza da parte degli acquirenti su ciò che si acquista, mettendoli nelle condizioni con indicazioni precise e particolareggiate su ciò che comprano, provenienza e lavorazione e ulteriori elementi di giudizio. Elementi di conoscenza utili al poter e saper  scegliere un prodotto di qualità con alti criteri di produzione, sia per quanto riguarda la sostenibilità sia per i valori organolettici dei prodotti consumati. Ciò  significa dare nuovi sbocchi occupazionali , tutelare l’autenticità del made in Italy , affermare con forza i valori e l’orgoglio della dieta mediterranea,  patrimonio immateriale dell’UNESCO, rilanciando di fatto  un’alimentazione sana ed equilibrata. Dare la possibilità al consumatore di poter scegliere i prodotti, con  una maggior trasparenza e consapevolezza di cosa si acquista, sicuri di una  filiera garantita e certificata. Tale comportamento  non solo sposta il consumo verso la qualità ,ma rilancia il potere stesso del consumatore di poter controllare il consumo. Spesso prevale un’ottica disparata e confusa  del consumo, frutto di un  mercato feroce,  figlio di una  globalizzazione selvaggia,  che annulla le tipicità, le differenze, e ci vuole omologati, relegando  il consumatore ad essere vittima e ultima  inconsapevole ruota del carro. Basti pensare alla salsa di pomodoro cinese, ai prosciutti provenienti dell’est europa, all’olio tunisino, al grano Canadese, al miele cinese.  Prodotti spesso passati per  Made in Italy. Ma tante sono le truffe e le contraffazioni presenti sul mercato, che ogni anno polizia, carabinieri e guardia di finanza scoprono a danno dei consumatori . Prodotti spesso trasportati per lunghe tratte, quindi insostenibili dal punto di vista della mobilità, e sicuramente prodotti con bassi standard di garanzia. In questo contesto e scenario, importanza rilevante riveste  l’etichettatura da apporre sul prodotto finito, riportando la dicitura di origine della materia prima. Si sta riscoprendo l’importanza del km 0 delle produzioni locali, volano essenziale di rinascita di interi comparti agroindustriali, composti da migliaia di piccole e medie aziende artigianali, Si! Proprio l’artigianato potrebbe diventare  la  chiave d’accesso per l’affermazione dei nostri prodotti sul nostro territorio e all’estero.  Un salto di qualità e una chiave di svolta possibile e doverosa, che ci dobbiamo porre come rimedio, come  cura , ad un crisi che è piu’ profonda di quella economica e materialistica esistente oggi,  quella dell’ uomo come cultore di antichi saperi, conoscenze  e mestieri dell’Italia del tempo andato.  L’italia da sempre fucina di talenti in ogni ambito lavorativo, grazie al giusto mix di passione e conoscenza. Tra queste eccellenze spiccano sicuramente quelli enogastronomici, vera summa del gusto,  frutto di secoli di scambi culturali lungo il crocevia del Mediterraneo. Una ricca e variegata presenza di sementi e colture,  oltre che una radicata quanto storica pastorizia, rendono, pur sofferente, la nostra Italia, “  il Bel Paese “. Consci di questo orgoglio che ci accomuna tutti, dal nord al nostro amato e sofferente Sud,  dobbiamo in modo consapevole e conseguenziale, renderci partecipi del destino del nostro Paese, e non smettere mai di sognare e lasciarci trasportare dal sogno,  non in un era senza tecnologia , ma in un’era in cui la tecnologia e la ricerca di filiera   abbiano la loro giusta collocazione e riconoscimento , un loro ottimale quanto etico utilizzo  per migliorare la qualità delle produzioni,  senza per questo perdere di vista la qualità del cibo che produciamo,  danneggiando il meno possibile l’ambiente  e  la qualità di vita di tutti noi, che di quei cibi siamo primi fruitori. Non dobbiamo essere semplici passivi consumatori,  ma veri protagonisti del nostro futuro, con un occhio al nostro passato, e un presente che sia ponte per le prossime generazioni, di cui siamo tutti responsabili, cercando di assicurare loro un vivere dignitoso e decoroso. Tuteliamo quindi i nostri prodotti, facendoli viaggiare e conoscere nel mondo intero, perché affermando la loro qualità, affermiamo anche il nostro orgoglio italiano e, per l’eccellenza dei nostri prodotti, di gente del sud.



Nicola Dileo


Dopo la potatura degli ulivi






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domenica 21 gennaio 2018

E "L'ORA PIU' BUIA" diviene 'LUMINOSA' per la Storia e il Cinema






«Andremo avanti fino alla fine. Combatteremo in Francia, combatteremo sui mari e sugli oceani, combatteremo in aria con crescente forza e sicurezza, combatteremo in difesa della nostra isola, qualunque sarà il prezzo che dovremo pagare. Combatteremo sulle spiagge, combatteremo sulle teste di sbarco, combatteremo nei campi e nelle strade, combatteremo sulle colline. E non ci arrenderemo mai»









(a.m. & t.a.)


Il film Dunkirk , collegato alla medesima vicenda storica (all'incirca il primo mese della Seconda Guerra Mondiale), lo abbiamo trattato in:

venerdì 19 gennaio 2018

Elogio della Follia 32: I PANNI SPORCHI SI LAVANO SU FB E NON IN FAMIGLIA



In inglese si diceva "don't wash your dirty linen in public idiom"  

Lo si diceva da secoli, alludendo al fatto che non è bene divulgare fuori della famiglia informazioni che è meglio mantenere riservate. 


Oggi,  nella società più liquefatta che "liquida" in cui siamo immersi, si fa tutto in piazza


Il parlare di fatti intimi e più o meno censurabili rispetto a sé e/o  agli altri aumenta vertiginosamente:  l'abitudine mediatica di parlare e straparlare manifestando commenti velenosi ad articoli di giornalisti, opinioni deliroidi, seminando calunnie o rivelando segreti di ogni tipo e grado (personali, pettegolezzi, sino a segreti istruttori, segreti professionali e quant'altro c'era di inviolabile nel passato) è fatto quotidiano.  Ed il giornale Il Fatto Quotidiano ha preso l'iniziativa di arginare la follìa della parola. Così ha reso noto la Redazione:  

Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 22 alle 7, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione

Non male. In sintesi si cerca di regolamentare in proprio in assenza di autoregolamentazione. Avete provato? Se cominciamo a scorrere il nastro di Facebook possiamo perdere ore ed ore nell'inutile nulla.Forse per questo è calato il numero di lettori di libri o di telespettatori.  


Webeti (come li ha definiti Enrico Mentana) ed imbecilli  hanno interpretato il diritto democratico alla parola come un obbligo a parlare.

«I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli», ebbe a dire il grande e compianto  Umberto Eco, che anni prima aveva difeso internet come promotore di cultura.  Mi meraviglio che non ci sia ancora un formato televisivo ambientato nelle chiese in cui si possano ascoltare i "peccati" della gente per poi farne oggetto di dibattiti pubblici. Altro che successo del confessionale del Grande Fratello...

Per non rivelare l'indicibile - mi ha detto un medico -  in Italia si è dovuto inventare la legge sulla privacy quasi non esistesse nel codice penale l'articolo sul segreto professionale. Prima bastava il segreto professionale. Ora per nascondere bisogna criptare o persino non pensare.
Ma è su FB ove si rasenta la fantascienza: la immensa vetrina narcisistica permette di tutto, sia innalzare che abbattere, sia sfogarsi che leccarsi le ferite. Tutto è sciorinato pubblicamente in un autorispecchiamento che è uno "sputtanamento" (oddio perdonami per la brutta parola presa in prestito! non è da teologo ma quando ci vuole ci vuole...). Molti scrivono su FB quanto passa loro per la mente e per il cuore come se nessuno (o tutti) lo leggessero: FB come il nostro Doppio migliore, come l'amico immaginario dell'infanzia, come l'analista. Addio riservatezza. Addio pudore. Ora anche FB sta pensando di filtrare qualcosa per evitare bufale (notizie false o, come fa "figo, fake news).
Riusciranno i nostri eroi informatici a salvarci con i loro astrusi algoritmi? Speriamo. Nel frattempo su FB (ove imperversano parolacce e foto erotizzanti di ragazze e donne attempate), la redazione di InCultura ha visto censurare una foto che ritraeva sullo sfondo delle statue greche e romane in quanto riconosciute "nude". Altro che foglia di fico. 
Vostro Erasmo da Rotterdam

domenica 7 gennaio 2018

STORIA DI UOMINI, DONNE E BAMBINI DI PUGLIA: LE ACCIAIERIE E FERRIERE PUGLIESI DI GIOVINAZZO


Rosa Maria Ciritella ci invia uno scritto corredato di ricordi personali e fotografici che ci rimbalza indietro nel tempo in un’epoca di grande (e per certi versi controversa) industrializzazione del Meridione. Dagli anni di  boom economico, colmo di speranze e aspettative finalmente soddisfatte, si arriva agli anni del declino industriale (siderurgico, in primis). L’articolo ci ricorda le vicende annose dell’Italsider-ILVA ancora attuali; ci ricorda come anche nel Sud ci fossero imprenditori illuminati come Olivetti, grandi uomini fattivi e dotati di avanzato senso di giustizia sociale. Informazioni tecniche e affettive si mescolano in quanto ingredienti di vita lavorativa e familiare. Sì perché dietro ogni dato statistico ed economico ci sono vite di esseri umani. Dietro ogni lavoratore vi è una famiglia e Romy è la figlia di un grande lavoratore di quei tempi che hanno contribuito alla rinascita dell’Italia dopo la disfatta bellica, che hanno lavorato duramente, partecipato alla vita sociale, hanno assistito impotenti alle inevitabili svolte storiche del finire del secolo scorso. Vale la pena ricordare, anzi ci è sembrato doveroso.    

La storia di mio padre, quella della mia famiglia d’origine coincide per una buona parte con quella delle Acciaierie e Ferriere Pugliesi di Giovinazzo (AFP) e la mia identità si è costruita anche attraverso la storia e le vicende di questa azienda. Mio padre, Mario Ciritella (1928 – 1998), svolgeva il compito di responsabile del laboratorio di analisi chimiche di questa fabbrica; la sua storia personale s’è intrecciata con quella delle Acciaierie dal 1964 al 1984, quando, a causa della chiusura definitiva dell’impianto siderurgico, fu costretto a chiedere il pre-pensionamento, anziché subire il licenziamento, dopo quattro anni di cassa integrazione e dopo aver contribuito fattivamente al risanamento dell’azienda. Ma andiamo per gradi ed approfondiamo i fatti accaduti. Mio padre, come tutti i suoi “compagni di lavoro” - come amava definire tutti i suoi colleghi -  visse l’alternarsi delle vicende dell’azienda dal ’64 all’84, dal culmine del successo alla fine desolante e frustrante. Non si trasferì però mai a Giovinazzo, preferendo fare il pendolare, per scelta. Lottò, come tutti i dipendenti delle AFP, per mantenere il suo posto di lavoro ed il ruolo da lui svolto, che amava con grande passione. Io sono solo una testimone di quanto accaduto in quegli anni. Ho vissuto insieme a mio padre e a mia madre ed a tutti i dipendenti delle AFP e alle loro famiglie la stessa serenità ed angoscia, la stessa illusione e disillusione, la stessa speranza e disperazione.



Le AFP nacquero tra il 1923 e il 1924 su iniziativa di tre soci: Giovanni Scianatico, Domenico Maldarelli e un ingegnere tedesco. Alla morte del padre, Giovanni rilevò dal fallimento di una ditta di Castellana il laminatoio “Modello 250” di recente costruzione. Domenico Maldarelli, parente di Giovanni, mise a disposizione della società l'area dell'impianto, un suolo nei pressi della ferrovia. Nel 1931 entrarono nell'impresa Canio e Sabino, fratelli di Giovanni, rilevando la proprietà dell'ingegnere tedesco. Tra il 1932 e il 1933 gli Scianatico rilevarono anche le quote di Maldarelli.
Cominciarono così le operazioni di ampliamento dello stabilimento: nell’ordine, vennero realizzati il laminatoio, l’acciaieria, la fonderia, le officine meccaniche, un reparto di carpenteria in legno e ferro ed uno per la fabbricazione di attrezzi agricoli. Inizialmente la produzione era rivolta essenzialmente al mercato locale e l’attività lavorativa veniva svolta in modo saltuario.
Nel 1943 le AFP furono occupate dagli inglesi, che utilizzarono gli impianti per soli fini bellici e rifornimento degli armamenti alle truppe inglesi. Durante l'occupazione gli Alleati aumentarono la forza lavoro a 1.200 unità.
Dopo la guerra gli Scianatico ripresero possesso della fabbrica e nel 1959 la proprietà venne divisa tra i due fratelli e le Acciaierie vennero assegnate a Giovanni.
Nel 1962 si laureò il figlio di Giovanni, l’ing. Michele, che assunse le redini dell’azienda di famiglia insieme al fratello Donato. Michele divenne presidente del consiglio di amministrazione delle Acciaierie e Ferriere Pugliesi, e Donato amministratore delegato.
Michele Scianatico decise di riorganizzare lo stabilimento: ammodernò gli impianti di produzione dell’acciaio, soprattutto la catena di produzione dei tubi speciali senza saldature. Riuscì in un decennio a portare le acciaierie a notevoli livelli di produttività, esportando i suoi prodotti anche all’estero. Tra il 1962 ed il 1972 decuplicò la produzione ed impiegò 1200 operai, contro i 350 del periodo ante-guerra o i 750 del dopoguerra.
In un’intervista, l’assistente sociale Maria Giuseppina Degennaro, che ha lavorato alle ferriere sin dal 1966, parlando dell’ing. Michele Scianatico, sempre presente tra i suoi dipendenti, riferisce che costui “decise di selezionare i migliori tecnici e specialisti per innovare il processo di produzione, li fece venire da tutta Italia e mise a loro disposizione le case”. Continua parlando dell’ “assistenza ai malati, non solo ai dipendenti ma anche ai familiari”, del “parco ricreativo, nel quale gli operai erano liberi di organizzarsi fra loro. Fu lì che ebbe inizio il miracolo dell’hockey”. E infine del doposcuola: “Credevamo nell’istruzione come unico canale per formare i ragazzini e assicurare loro un avvenire di libertà. Non so dove prendessimo le energie ma sentivamo una grande spinta per migliorare il rendimento scolastico dei ragazzi”.
In effetti gli anni del boom economico furono quelli nei quali la proprietà dell’azienda mise a frutto le proprie competenze ed i suoi poteri a favore di tutti, dal primo all’ultimo, come io stessa ricordo dai racconti di mio padre. Certo quello fu anche il tempo delle lotte: Tommaso Sicolo fu il più importante rappresentante dell’istanza di cambiamento politico. Tommaso Sicolo (1920 – 1989), operaio delle AFP, sindacalista CGIL sin dal ’45, grande mediatore dei rapporti tra la proprietà ed i dipendenti, ma anche forte punta di diamante della lotta operaia, divenne deputato a Montecitorio tra il 1976 ed il 1983. Si impegnò nella lotta alle gabbie salariali, convinto che il basso costo della manodopera al Sud fosse una spinta per l’imprenditoria del Nord allo sfruttamento degli operai meridionali.
Nell’interessante pubblicazione di Antonella Pugliese, Le ferriere tra gli ulivi, si sottolinea come “l’art. 3 della nostra Carta Costituzionale dice che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Questa storia delle AFP ci racconta di come migliaia di nostri concittadini presero sul serio questo impegno e provarono a forzare limiti storici, culturali e politici, provarono veramente ad edificare lo Stato democratico, fatto e vissuto non solo da élites, ma dai più, dai tanti, da chi dal basso provava a darsi visione e contezza del mondo”.  Occorre “ripensare la storia di questo universo operaio e sociale nel suo tratto più profondo e duraturo: come patrimonio civile, non localistico, dell’intera comunità, dimostrazione che la politica, la democrazia si inverano quando vengono strappate ai pochi e conquistate dai molti”.
Tra il 1951 e il 1974 la Puglia ha sperimentato uno sviluppo industriale particolarmente intenso, sia rispetto all'intera area meridionale sia rispetto al Centro-Nord. La fase di più intensa crescita si è avuta dopo il 1961, quando l'aumento del prodotto, già elevato nel decennio precedente, ha raggiunto il 9,5% in media all'anno, accentuando le distanze con gli incrementi registrati nelle altre aree (7,7% nel Mezzogiorno e 6,5% nel Centro-Nord). La crescita, nel suddetto periodo, è stata sostenuta da iniziative di nuovo insediamento nella regione, spesso facenti capo a gruppi pubblici e privati, in genere di grande dimensione e operanti in settori ad elevata produttività: l'industria siderurgica e quella chimica e l'industria meccanica e dei mezzi di trasporto. L'industria dei minerali e metalli ferrosi e non ferrosi rappresenta in Puglia la seconda attività industriale, con un'incidenza sul prodotto del 19% e sull'occupazione del 15,4%.



L’area delle ferriere è vasta 98000 mq: negli anni '60 e '70 lo stabilimento delle Acciaierie Ferriere Pugliesi si trasferì in imponenti e moderni capannoni e lo stabilimento venne dotato di Forno Martin-Siemens da 70 tonnellate, due forni elettrici rispettivamente da 7 e 12 tonnellate, forno a suola rotante della capacità di 25 tonnellate/ora ecc. La produzione era pari a 150.000 tonnellate annue di acciaio (con una produzione giornaliera di 500 tonnellate) e a 15.000 tonnellate annue di ghisa. Venivano prodotti lingotti da forgia, billette, tondini per tubi, rotaie e rotaiette, profilati per armamento ferroviario e suole industriali per mezzi cingolati.
Michele Scianatico volle rafforzare i rapporti tra la proprietà dell’azienda ed i suoi dipendenti trasformando la proprietà della famiglia Scianatico ("Villa Spada") in un parco ("Parco Giovanni Scianatico"), a favore dei dipendenti delle AFP e dello loro famiglie. Nella struttura vennero organizzate attività ricreative, sportive (hockey a rotelle) e di doposcuola per i figli degli operai e degli impiegati. Inoltre vennero organizzati corsi di addestramento professionale per i giovani, specializzando così i giovani nelle diverse lavorazioni dello stabilimento. Eloquente la scritta che si leggeva all’ingresso del Parco:
«Preparati seriamente e lotta con coraggio e lealtà. Se sbagli, riconosci onestamente il tuo errore e accetta con serietà la giusta punizione. Se vinci lealmente, riconosci e ammira il coraggio del perdente. Se perdi, accetta il verdetto e sii fiero se sai di aver meritato l’ammirazione di chi è stato più fortunato di te».



Alla fine degli anni ‘70, con la crisi siderurgica cominciò a delinearsi il declino dell'azienda; nel ’79 la produzione si fermò per quasi due mesi e la fabbrica, fortemente indebitata, ricevette dai suoi 1050 operai un prestito di un milione di lire ciascuno: i debitori si dileguarono, le Acciaierie risorsero e gli operai diventarono comproprietari delle ferriere; fu il primo caso di “cogestione” di una azienda.
Nel 1980 iniziò però la cassa integrazione per i suoi dipendenti; con il venir meno delle condizioni politiche favorevoli nel 1983 venne dichiarata l’insolvenza della società e gli Scianatico chiusero la fabbrica. Nel 1984 il CIPE deliberò lo smantellamento delle Acciaierie e Ferriere Pugliesi. Vennero licenziate 483 persone ma il destino dell’AFP si compì definitivamente a livello politico. I creditori, presenti nel Comitato di Sorveglianza, cedettero alle richieste da parte di altre aziende siderurgiche di accaparrarsi le residue quote di produzione dell’AFP. Il commissario di Governo ricevette l’ordine di procedere al fermo dei forni fusori e dell’attività produttiva a metà del 1988.
Intanto negli anni ’70 a Valbruna, in Friuli, gli imprenditori baresi Amenduni diventarono proprietari delle Acciaierie Valbruna, quando Nicola Amenduni sposò una Gresele, la figlia del proprietario dell’acciaieria. Costoro iniziarono a ricercare personale direttamente dall’ufficio di collocamento di Giovinazzo subito dopo la chiusura delle AFP. Scrive Devi Sacchetto: “l’acciaieria fa parte di una piccola multinazionale di proprietà della famiglia Amenduni e occupa circa mille persone di cui il 50% lavoratori dal Mezzogiorno, il 40% locali e il 10% immigrati stranieri. Un altro centinaio di lavoratori, italiani ma soprattutto stranieri, sono dipendenti di imprese terze e cooperative che operano all’interno dell’azienda, svolgendo attività quali la manutenzione muraria e meccanica, lavori di carpenteria pesante, pulizie industriali delle scorie. Si tratta di un mondo maschile, a esclusione di qualche decina di donne assunte come impiegate e di quante sono occupate nella mensa”.
E Giovinazzo? Dopo la fine dell’industria ha quasi perso la bussola, colpito dal “cedimento improvviso della spina dorsale, delle strutture portanti di un tempo”, scrive Isidoro Davide Mortellaro nella prefazione alla riedizione del saggio Le ferriere tra gli ulivi della Pugliese. Dalla chiusura, lo stabilimento ha subito numerose modifiche: oggi 30.500 mq sono occupati dai capannoni dismessi e 13.000 mq da capannoni con attività in esercizio; una parte della superficie originaria è stata recentemente destinata alla realizzazione di edifici residenziali e del nuovo assetto viario; la restante superficie - più della metà dell’area - è occupata dalla viabilità di servizio e da suoli interessati da accumulo di detriti e rifiuti di diversa natura; lo stato di contaminazione delle matrici ambientali è strettamente legato alle principali attività che nel tempo si sono localizzate in queste aree. Il PRG vigente, successivo alla chiusura delle attività delle AFP, classifica l'area come zona industriale, confermandone l'identità di luogo della produzione. Per l’area, tuttora interamente di varie proprietà private (nonostante i tentativi dell’amministrazione alla fine degli anni ’90 di acquisire l’intero complesso), nel 2010 la Regione Puglia approva l’intervento di bonifica, messa in sicurezza permanente (MISP) e riqualificazione del sito, finanziando l'intervento con 3.400.000,00 euro (fondi PO FESR 2007-2013 Linea 2.5). – Dati forniti dallo studio di Calace ed Angelastro. Un avvenire incerto. Solo un finale tecnico riesce a diluire le emozioni ed i ricordi che affollano la mente di tanti Pugliesi. (Rosa Maria Ciritella)


Enrico Berlinguer (1922-1984) all'epoca dei fatti descritti


Fu incentivato un gioco diverso dal calcio imperante. Con successo.





Dal declino alla caduta














BIBLIOGRAFIA:
Antonella Pugliese, (a cura di I. D. Mortellaro) Le ferriere tra gli ulivi. Storia delle acciaierie e ferriere pugliesi di Giovinazzo, B. Mondadori, 2015
Francesca Calace e Carlo Angelastro, Le risorse latenti ai margini della città. Un focus su alcuni casi esemplari dell’area metropolitana di Bari, Report WWF 2014
Devi Sacchetto, L’immigrazione interna e internazionale in un sistema di occupazione regionale, in Sociologia del lavoro, n. 121, 2011
Giuseppe de Pinto, Sciamanìnn, Feltrinelli, 2016


SITOGRAFIA:





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