venerdì 20 febbraio 2009

TEATRO - La guerra dei Roses

di Michele Miglionico


Per la propria sopravvivenza, il teatro contemporaneo deve puntare a questo genere di spettacolo. Tra il rischio di dar spazio a drammaturgia inedita o il puntare sul sicuro, attingendo al repertorio classico, una terza via è quella intrapresa (tra le altre) dalla Lux T, che strizza l'occhio agli amanti del cinema portando in scena "La guerra dei roses", un film culto del 1989. In realtà l'adattamento teatrale è ad opera di Warren Adler, l'autore del romanzo da cui fu tratta la sceneggiatura poi diretta da Danny De Vito. Nonostante questo, la contaminazione tra i media rimane, anche per volontà del regista Ugo Chiti. La storia dell'escalation di violenza tra Oliver Rose (Giancarlo Zanetti) e sua moglie Barbara (Laura Lattuada) è una perfetta macchina narrativa, che dosa umorismo e tragedia in giuste quantità, mantenendo il ritmo concitato e l'attenzione desta. Si apre così come si chiude, con un eloquente dialogo (un doppio monologo incrociato, a ben vedere) rivolto a Dio e, in fondo, al pubblico. Nel mezzo, il set della casa contesa tra gli ex coniugi corre a spron battente nel tempo, scandito dall'alternanza tra luci e ombre. L'agilità con cui avviene è molto cinematografica e poco diffusa dietro il sipario. I protagonisti vengono messi alla prova con un frequente cambio di costumi e contesti psicologici, ma Zanetti e la Lattuada soddisfano con le loro interpretazioni; l'attrice, forse contrariamente alle proprie intenzioni, rischia di spingere i favori della platea verso il personaggio del marito con la vena di follia che ci mette. Di certo è aiutata dal carattere stesso. Spiccano i ruoli degli avvocati D'Amato (Luis Molteni) e Thurmont (Fabrizio Apolloni), sobillatori della coppia. La satira di Adler si ispira alla realtà degli azzeccagarbugli che hanno tutti gli interessi affinché le loro cause si prolunghino e si esarcebino. Molteni scimmiotta Danny De Vito nella mise e nell'interpretazione, ma consegna una perfomance più credibile del suo collega-avversario. Da segnalare l'uso moderno e funzionale di luci e audio, anch'esso di sapore cinematografico. Importanti fuori scena, o "personaggi" come gli animali domestici, vengono evocati grazie ai suoni registrati, e l'intera colonna sonora supporta la vicenda. Durante gran parte della rappresentazione, il tintinnio dei cristalli dell'invisibile lampadario prepara subliminalmente al finale, che per esigenze sceniche viene purtroppo solo riferito. 

domenica 15 febbraio 2009

TEATRO - Him - if the wizard is a wizard you will see...

di Michele Miglionico


L’esperienza di assistere a questa performance è surreale. Marco Cavalcoli è inginocchiato lì, al centro del palco, truccato come Adolf Hitler; alle sue spalle, il classico film “Il mago di Oz” procede, mutilato della sua pista audio. Il dittatore scimmiotta un direttore d’orchestra, nei suoi ipnotici, ossessivi movimenti delle braccia. In tutto questo, l’attore recita il film. In inglese. Doppia uomini, donne e animali; canta a cappella i brani del musical; intona la colonna sonora; fa le veci del rumorista in tempo reale. La sincronia con il labiale (e non) della pellicola è assoluta. Pur tra due alternative, c’è l’imbarazzo della scelta sull’approccio per seguire lo spettacolo. Ci si può concentrare sul film in proiezione, sghignazzando per la folle precisione del sonoro fresco di emissione; oppure, lo sguardo può puntare sullo stesso protagonista, che non si limita a dirigere, letteralmente, l’orchestra delle sue corde vocali, ma che impersona istante per istante i personaggi che si susseguono alle sue spalle. Particolarmente efficace la sua interpretazione mimica e vocale del pavido Leone. Il pubblico non può fare a meno di ridere. Il contrasto tra il dolce viso di Judy Garland e l’imitazione della sua voce, per citare un esempio, è di immediato effetto comico. Non è importante conoscere la trama de “Il mago di Oz” o riuscire a comprendere i dialoghi in inglese. Qui il gruppo ravennate "Fanny&Alexander" punta soltanto a stranire e divertire. Di certo, per una maggiore correttezza, andrebbe indicata sul cartellone la reale natura dello spettacolo, in special modo l’interpretazione in lingua originale del film. Man mano anche i più scarsi anglofoni ingranano nella comprensione, ma chi fosse a totale digiuno della lingua di Shakespeare…? Nell’ambito di “Scene Dinamo”, con questa prima regionale l’Opificio Fabrica Famae dà ancora spazio a questa nuova frontiera del teatro, che supera il semplice monologo. L’impossibilità di sostentare un’intera compagnia mette al muro i singoli artisti, che si caricano il fardello di tutti i ruoli di uno spettacolo, raschiando il fondo del barile del proprio talento. Così era stato con il recente adattamento di “Ubu Incatenato” del gruppo Fortebraccioteatro; così era stato con “Ecce robot” di Daniele Timpano, più accostabile a “Him” perché anch’esso basato sul gioco (inverso) del missaggio del doppiaggio di un’opera nata per lo schermo – in quel caso, il cartone animato “Mazinga Z”. E’ questo uno dei futuri più probabili per la drammaturgia? Marco Cavalcoli, dotato di memoria e vocalità non comuni, meriterebbe prove più sane e tradizionali, per raggiungere una platea di maggior respiro.

mercoledì 11 febbraio 2009

TEATRO - Jesus - Due atti unici sulla figura di Cristo

di Michele Miglionico


Va premesso che confrontarsi con la controversa figura di Gesù è un rischio che pochi artisti possono permettersi. Il Teatro delle Onde propone, in scienza e coscienza, per mano dell'autore e regista Tonio Logoluso, due diversi approcci distanti: lo spettacolo è costituito di due atti unici. "Lo spaventapasseri" è una fiaba musicale, ambientata in una fattoria di animali senzienti, in cui grazie ai consigli dello spaventapasseri Jimmy - allegoria del Cristo - le bestie parlanti riescono a risolvere i loro problemi. L'allegoria rasenta il blasfemo, ma il problema non è questo. Due attori (Carmen Pignatelli e lo stesso Logoluso) leggono la storia come farebbero con un pubblico di bambini, anche cercando di caratterizzare le voci dei diversi personaggi con tonalità di diversa altezza a seconda del genere e del ruolo. L'impostazione, però, mette a dura prova l'attenzione degli spettatori. Per fortuna ogni brano è introdotto dal titolo che fa riferimento all'episodio evangelico a cui si ispira, facilitandone l'altrimenti difficile comprensione, a causa della fantasiosa trasposizione nel diverso contesto narrativo; e per fortuna l'orchestra "Terraconfine", diretta da Michele Lorusso, accompagna il racconto con un uso narrativo e recitativo degli strumenti (si veda l'evocazione dei versi degli animali) e ci propone tra un pezzo e l'altro uno stacco, tutto firmato da Nico Arcieri. "Perché mi hai abbandonato?" è il dialogo senza risposta che, nelle intenzioni dell'autore, Gesù avrebbe intrapreso sulla croce prima di morire, con il Padre - anche se il personaggio vaga intorno a una scarna rievocazione del monte Calvario, con solo l'ombra della croce alle proprie spalle. Il monologo è concitato, abbastanza da rendere il nervosismo tutto umano e affatto divino del personaggio. Si sprecano i riferimenti alla vita di Gesù. Ma non basta, anzi, c'è un retrogusto posticcio. Siamo lontani dal puro pathos dei brani di "Jesus Christ Superstar".

INFORMATICA-MENTE: DAL SÈ INTRAPSICHICO AL SÈ RELAZIONALE Tra cibernetica e metapsicologia

  Antonio Damasio, neuroscienziato portoghese *Pubblichiamo, su richiesta di Colleghi e per facilitare la ricerca, questo articolo scientifi...